Bravo Maccallini!
E` proprio questo tipo di ricerca che mi indusse, qualche anno fa, a scrivere cio` che segue:
Pietro Maccallini è il fuoriclasse della glottologia contemporanea.
Lo spinoso problema della dicotomia del segno linguistico come significante e significato, con tutto ciò che esso comporta per un’adeguata comprensione della realtà, non è stato ancora risolto dalla linguistica tradizionale, forse perché gli studiosi del passato non hanno notato gli addentellati della semplice lingua con la filosofia intesa nel senso classico, cioè della scienza che racchiude tutto lo scibile umano, proprio come il Vico intendeva il concetto.
Il rapporto reciproco di questi due elementi dell’enunciato rimane instabile attraverso il tempo. I cambiamenti possono essere causati dal normale processo di obsolescenza, con la conseguenza del cosiddetto logoramento linguistico, con svolgimenti autogenetici indipendenti, come l’iper/ipogeneralizzazione, rilessificazione, perdita morfologica e via di seguito.
I parametri stabiliti dalle varie scuole, a partire dalla linguistica storica, come l’approccio comparativo-ricostruttivo di Antoine Meillet e, più di recente, l’esame della struttura del segno linguistico di Walter Belardi e di Paolo Di Giovine, nelle lingue indoeuropee, antiche e moderne (romanze), non riescono a dare una soluzione soddisfacente al problema. La designazione delle numerose teorie linguistiche rappresenta un vero ginepraio, come ben definisce la situazione, metaforicamente, l’esimio prof. Vittoriano Esposito, nell’introduzione ad un’altra operetta del nostro autore.
Neanche gli ultimissimi tentativi della semiologia e della cibernetica, i cui migliori risultati si annoverano nelle opere di Douglas Hofstadter, Umberto Eco e Noam Chomsky, rispettivamente, hanno fornito una risposta definitiva, che forse non sarà mai possibile ottenere; considerazione, questa, che fa riflettere sul motivo per cui Socrate e Cristo non hanno lasciato nulla per iscritto. Il significante (segno) e il significato (intento) si uniscono nella parola (logos), ma si dividono nel segno, nella scrittura, che rappresenta la parola solo in modo artificiale, incompleto, e richiede un lettore competente in materia che ne sappia ricostituire il significato.
L’originalità di Pietro Maccallini consiste appunto nel suo eclettismo, che gli permette, senza restrizioni, di esaminare a fondo i toponimi, e non superficialmente, come spesso fanno gli studiosi, ingannati da giochi casuali, prodotti dalle varie interferenze nel corso dell’inevitabile logoramento linguistico. In una recente sua comunicazione, così esprime il concetto il Maccallini:
Quando loro [gli studiosi] incontrano toponimi come Fonte del Lepre o Fossa del Lupo, non immaginano nemmeno per un momento che al di sotto di essi potrebbe sonnecchiare il nome reale, diretto, concreto della cosa designata, ma credono che questi toponimi siano la prova della tendenza affabulatrice e fantasiosa dell’uomo preistorico oppure che essi rimandino a qualche fatto, a mio avviso improbabile, che sarebbe accaduto nei rispettivi luoghi alla presenza degli animali nominati, i quali avrebbero così lasciato impronte indelebili sulle suddette denominazioni.
Questa intuizione della vera coincidenza dei due elementi dell’enunciato, da ricercare nel sostrato della lingua, risale al tempo in cui il Maccallini estrinsecava il concetto nella sua prima opera Principi di una nuova linguistica (1992), composta “alla garibaldina”, come mi comunicò in una lettera di qualche anno fa l’autore. Egli parte dalla convinzione, non condivisa da tutti gli studiosi, della monogenesi del linguaggio, e crede fermamente nella possibilità di riconnettere il significante al suo significato tramite il discernimento delle radici insite nel segno dell’enunciato, procedimento più che mai difficile per chi manchi di competenza linguistica, ma incredibilmente facile per il Maccallini. E in questo, appunto, come in una semplice formula di Einstein, consiste il genio del Maccallini.
Auguri e...ad maiora!