Tuesday, November 19, 2013

Lettera Aperta al Maccallini

Commento all'ultimo blog di Maccallini, in forma di lettera aperta: LETTERA APERTA Caro Pietro, Dopo aver seguito puntualmente il tuo tragitto poetico-linguistico, mi permetto di offrirti alcune mie riflessioni, tanto per concludere il ciclo degli scambi epistolari iniziati molti anni fa. Mentre la nostra amicizia continuerà ininterrotta, questo mio intervento sarà l’omega dei miei giudizi offertiti da quando, anni fa, ti consigliai di puntualizzare le tue idee linguistiche in un blog, con la speranza che, con l’intervento di qualche linguista di professione, si potesse continuare la nostra discussione sulla tua impostazione originalissima sull’evoluzione della lingua. Purtroppo, eccezion fatta per qualche raro intervento di anonimi lettori, tra cui io, non è stato possibile dar via a discussioni linguistiche autorevoli. Io sono del parere che le tue notevoli conoscenze etimologiche e glottologiche abbiano intimorito qualche profesionista in materia, e gli scambi epistolari con il Pittau non sono apparsi nel tuo blog, ovviamente perchè, come professionista, egli non poteva schierare le sue conoscenze contro le tue, e rischiare di perdere il duello. Come sai, io ti ho sempre espresso il mio scetticismo sulla validità delle tue conclusioni, pur ammirandone la genialità. E, come per il Vico, ti ho ripetuto che i professionisti si sarebbero schierati tutti contro la tua teoria. Il fatto stesso che essi non si sono fatti vivi finora può considerarsi una tacita verifica dell’assunto. L’aspetto più facilmente oppugnabile della tua tearia si rivela nell’arbitrarietà della ricostituzione del significato di un etimo indipendentemente dal suo contesto. In ciò tu ripeti in linguistica quello che Kant fece per la filosofia, separando due elementi di un termine che tradizionalmente si consideravano inseparabili: essenza/esistenza dell’ESSERE per il Kant, e significante/significato del LOGOS nel tuo caso. Il risultato per la filosofia consiste nello sfacimento della discipliana stessa, per cui oggi nelle accademie non si studia più filosofia, bensì la sua storia. Mentre la vera disciplina si è trasmutata in scienza vera e propria, come la fisica atomica. Il nuovo teorema di Heisenberg (“Se un fenomeno non è osservabile, esso non esiste”), come anche la conclusione di Nietzsche, che “Dio non esiste”, sono comprensibili solo per chi conosce la filosofia di Kant. Ma persino Einstein rifiutò queste conclusioni. Ecco perchè vorrei ricondurti alla poesia. Il tuo amore per l’etimologia, per la parola, con tutte le sue sfumature e possibili significati, si rivela nettamente nella poesia, dove il tuo genio spicca per la ricchezza di sentimenti ispirati dall’uso delicato quanto preciso dei termini, e per la raffinatezza già evidente fin dalla prima gioventù con la bellissima creazione de “Il flauto agreste”: Disteso su tenera sponda bacio col flauto antico lo stupore dell’alba che schiude appena le labbra sottili e subito in vaghi trapassi sfuma nell’aria. .................................................... .................................................... Flauto divino è d’uopo che tu ricorra ai tuoi stratagemmi riposti se vuoi ch’io prenda dai favi il miele difeso dalle api. Se le avide labbra mi perfora un aculeo gusterò l’amaro veleno mescolato al profumo dei fiori e all’anima ebbra apparirà il mistero delle cose... Una poesia, questa, non inferiore a quella di un Leopardi. In conclusione, caro amico, vorrei di nuovo esortarti a riprendere il tuo flauto agreste, e ...Sulle ali del fiato a solcare il ferruginoso occidente crogiolo inquieto dove bolle tra bagliori di fuoco la colata di lava dei giorni che verranno... Angus Walters

Thursday, April 11, 2013

DIALOGO CON MACCALLINI (cont.)

ANGUS WALTERS:___________________________ Caro Pietro, ho inserito un breve commento al tuo recente blog. Spero che non ti sia offensivo. Tu già conosci il mio punto di vista su queste cose, quindi non vale la pena dilungarsi troppo. Solo vorrei che altri intervenissero a commentare. PIETRO MACCALLINI:____________________________ Caro Angelo, il commento l'ho già letto ed ho pensato che non potevo aspettarmi di più di quello che affermi. La mia analisi corrobora l'ipotesi che si tratti di una leggenda, ma sempre ipotesi resta, anche se per me credibile. Chi crede che sia verità però dove si appoggia per corroborarla? Che sia vissuto realmente un saggio chiamato Giona è possibile, ma i presunti fatti che la tradizione ci ammannisce mi sembrano avere i colori del mito. ANGUS WALTERS:___________________________ Caro Pietro, quasi tutti gli studiosi o esegeti convengono con l'idea che il racconto sia una satira narrativa a scopi istruttivi, non una narrazione storica, per cui bisogna cercare di individuare l'intento dell'autore, il che non è sempre facile. Per esempio: fino a tempo fa non si comprendeva esattamente ciò che Gesù intendesse con la frase "è più facile che un cammelo passi per la cruna dell'ago che un ricco entri nel regno dei cieli". Sembrava che Gesù intendesse che era impossibile che un ricco potesse essere salvato. Ma recentemente con gli scavi archeologici, si è incorsi in un tratto delle mura di cinta di Gerusalemme chiamato appunto "la cruna dell'ago", cosiddetto perchè lì la porta d'entrata era molto stretta. Questa scoperta, naturalmente cambia radicalmente il significato della frase. Il riferimento a Giona da parte di Gesù non ha nulla a che fare con il valore storico dell'evento, ma solo con l'aspetto profeticamente didattico della narrazione: tre giorni nella balena simbolizzano i tre giorni nella tomba di Gesù prima della risurrezione. Detto questo, non mi sembra lecito dedurre che un Giona non sia esistito. PIETRO:_______________________ Caro Angelo, io ero rimasto al greco kamelos che significa sia 'cammello' che 'fune'. Ma il nome della porta come lo si è appreso: è la zona chiamata così o c'è qualche iscrizione? Quanto alla realtà storica di Giona io ammetto la possibilità che sia esistito ma ciò di cui narra la Bibbia su di lui ha tutti i crismi di un mito formatosi nel solito modo. Il numero tre mi pare che ricorra anche ad indicare le giornate che ci volevano per attraversare tutta Ninive. Ad ogni modo si troveranno sempre argomenti nell'uno o nell'altro senso. ANGUS:________________________ Caro Pietro, ecco l'opinione di un Israelita al riguardo: "Pare che una delle porte di Gerusalemme avesse, oltre ad un ampio passaggio per carovane e bestiame, anche un passaggio delle dimensioni di una comune porta; questo passaggio era usato per l'accesso e l'uscita in città dei pedoni. Tale apertura, forse per la forma, o per le dimensioni, veniva chiamata la Cruna. Secondo i sostenitori di questo significato, rientrerebbe nella volontà dell'evangelista l'allegoria secondo la quale, così come il cammello, per passare attraverso la porta detta "cruna" deve abbandonare il suo carico e inginocchiarsi, il ricco deve spogliarsi delle sue ricchezze e abbassarsi umilmente per passare. Alcuni ipotizzano che il termine “cammello” si debba tradurre “fune” o "gomena". I termini greci corrispondenti a fune (kàmilos) e cammello (kàmelos) sono simili. Tuttavia, nei più antichi manoscritti del Vangelo di Matteo (il Sinaitico, il Vaticano 1209 e l’Alessandrino), in Matteo 19:24 compare la parola greca per “cammello” anziché quella per “fune”. Vi è anche chi sostiene che il termine genovese "cammalli" che indica i lavoratori portuali, deriverebbe da questo vocabolo "gomena", ma pare piuttosto che sia una parola di origine araba "hammalos". In realtà la traduzione "cruna dell'ago" mi pare che sia di Girolamo", allo stesso modo di "corna" per quanto riguarda Mosè, come ha già scritto l'ottimo Aialon". Non credo che abbiano trovato un'iscrizione. Ancora una volta, il significato ed il significante rimangono da accoppiarsi dal lettore intelligente; e spesso ciò è impossibile. PIETRO:_______________________________ Caro Angelo, in greco kamelos vale 'cammello' e 'fune, gomena'. Nel Nuovo Testamento si ha la forma camilos, ma si tratta di "lezione". Così dicono i miei vocabolari. Il concetto di "cruna" è adattissimo, secondo la mia linguistica, per indicare qualsiasi 'apertura' e quindi anche una 'porta', piccola o grande che sia. Per quanto riguarda i racconti che ci vengono dal lontano passato, a parte le considerazioni che hai fatto nella precedente mail, bisogna assolutamente credere che essi hanno subito gli incroci che ho messo in evidenza nell'articolo su Giona. Addirittura essi si sono verificati anche per Santa Chiara di cui parlo nell' ultimo articolo che ti ho accennato per la sua importanza. Il caso vuole, infatti, che il Bielli sotto la voce Chiare riporta un detto popolare che suona gné ssanta Chiare che doppe che j'ànne arrubbate à fatte fà lu cancelle de ferre. Secondo me questo è un detto che si trascinava da molti secoli prima del tempo di santa Chiara, coetanea di san Francesco, detto che, una volta scomparsa la divinità Clatra precedente, si è adattato per la nuova santa. Esso si spiega bene, infatti, supponendo dietro Chiare il nome della dea latina Clatra, poco conosciuta, che aveva un tempio insieme con Apollo sul Quirinale. In latino clatra vale 'sbarre, cancello'. Anche l'idea di "rubare" è sata suggerita da una forma greca kleptria 'ladra' di cui si può supporre una forma parlata clet(t)ria similissima a Cletra, variante di Clatra. Non si può spiegare diversamente questo detto. ANGUS:_________________________________ Caro Pietro, ripeto, la tua analisi sparge molta luce sul testo, ma essa non può essere conclusiva. L'espressione dialettale a cui ti riferisci viene interpretata con una svolta sessuale nei dialetti calabresi. Mia suocera, buonanima, ripeteva spesso alle figlie verginelle di non fare come Santa Chiara, che decise di farsi il cancello di ferro (in riferimento alla cintura di castità) "dopo che l'hanno arrobbata". In questo caso l'espressione sarebbe di origine medioevale. Dato l'aspetto fondamentalmente metaforico della lingua, ogni frase è aperta ad una moltitudine di significati, i quali sboccano tutti nella frase manzoniana "a buon intenditor...lei m'intende!" L'accoppiamento di Chiara con Clatra e' nutrito da un aspetto putativo della tua analisi, direi anche probabile, ma non accertabile.

Wednesday, March 20, 2013

Commenti al blog di Maccallini su L'infanzia di Gesù

"Caro Pietro, il tuo intervento sull’aspetto semantico dell’aggettivo “nazoreo” nel recente libro di papa Benedetto XVI, L’INFANZIA DI GESÙ, sparge molta luce sull’argomento, e convalida, ancora una volta, la validità del tuo metodo. Il significato profondo del termine, in base alla tua analisi, si amplierebbe ad includere anche l’aggettivo “capelluto” o “capellone”, come si direbbe oggi, applicabile ai “nazirei “ del mondo ebraico, cioė, coloro che si dedicavano a Dio e non si tagliavano i capelli, come certamente era il caso del Battista, di Gesù e dei loro seguaci. Il “nazareo” dell’INRI, poteva indicare non solo il luogo della prima residenza di Gesù, ma anche il significato limitrofo. Data la mancanza di un referente veterotestamentario a Nazaret, la località della prima residenza di Gesù, la tua analisi è portante, e non invalida affatto l’esegesi del papa. Un altro valido punto del tuo intervento analitico è la presenza del bue e dell’asinello, tradizionalmente presenti nella grotta di Betlemme, ma senza un chiaro indizio profetico veterotestamentario. L’esegesi biblica, fino ai nostri giorni non è concludente su questi punti, e certamente l’autore del libro non obietterebbe alla tua analisi, anzi, ne sarebbe illuminato. ____________________________________________________________________ RISPOSTA DI MACCALLINI: "Caro Angelo, non ho nulla da eccepire alle tue osservazioni concrete ed esaustive. Faccio notare solo che quando tu dici "la tua analisi è portante" forse avevi in mente l'ingl. bearing che significa anche 'produttivo, fruttifero'. Che il metodo sia quello giusto mi è stato confermato anche da un sito web in cui ho letto che ebraico naziyr 'nazireo' significa nella Bibbia anche 'vigna non potata' accostandosi così al significato di 'capigliatura, ecc.'. L'autore del sito però non sa dire altro che probabilmente questo significato deriva metaforicamente dal fatto che i nazirei erano capelluti. Grazie di tutto _______________________________________________________________________ ANGUS RISPONDE: "Leggendo L'infanzia ho capito molto più a fondo il vero significato del termine logos, che san Giovanni evangelista usa in riferimento a Gesù. Come sai, san Giovanni, ai piedi della croce, ebbe l'incarico da Gesù di prendere cura di Maria, Sua madre. Quindi egli è l'unico evangelista contemporaneo di Gesù; e il semplice fatto che i quattro evangelisti narrano più o meno gli stessi fatti sulla vita di Cristo, senza conoscersi l'uno con l'altro, dimostra la loro fedeltà agli eventi della narrazione. Inoltre ho compreso più a fondo cosa volesse intendere san Giovanni con la parola logos in riferimento a Gesù: Noi che conosciamo Saussure abbiamo un'idea molto più precisa di questo logos, che Saussure chiamava parole, cioè l'unione del segno (signifiant) con l'intento (signifié). Questo è al livello sintagmatico o sincronico. Ma al livello diacronico o paradigmatico, la parole diventa langue. Come tu ben sai, senza conoscere il paradigma di un verbo, non si riesce a coniugare i vari tempi in latino. Quindi, sincronicamente si può coniugare il presente, o il passato di un verbo, ma per saper coniugare tutti i tempi bisogna conoscere il paradigma. Quindi san Giovanni usa il termine logos anche al livello della langue, in quanto i segni presenti nelle profezie del Vecchio Testamento si sono verificati in Cristo nella narrazione del Nuovo Testamento. Insomma, in Gesù s'incrociano il sincronico con il diacronico, il sintagmatico con il paradigmatico, il temporaneo con l'eterno. Naturalmente, il papa, da buon teologo, non può entrare in questi dettagli della linguistica moderna, perché essa non rappresenta il suo campo di specializzazione. Un'altra considerazione: mentre nel linguaggio comune i due elementi della parole si separano con il passare del tempo, nel linguaggio biblico i due elementi della langue, al livello paradigmatico, si riuniscono in Cristo, nella coincidenza tra il temporaneo (Vecchio Testamento> Nuovo Testamento) con l'eterno (Gesù=Dio). Noi moderni non sappiamo fino a che punto san Giovanni, o gli antichi Greci conoscessero i meccanismi del linguaggio. Tutta la scienza o filosofia, a quel tempo, includeva il trivium (grammatica, retorica e logica) e il quadrivium (aritmetica, geometria, musica e astronomia). Ma non è detto che il sapere umano si limitava a queste materie: Aristotele fu scelto come consigliere da Alessandro; e quindi è legittimo desumere che egli conoscesse anche gli elementi della strategia militare, che non faceva parte del trivium o del quadrivium. Idem per la conoscenza dei meccanismi linguistici. San Giovanni era l'unico discepolo "istruito", e per studiare bene il Vangelo basta leggere la sua narrazione degli eventi della vita di Gesù, e seguire attentamente i riferimenti al Vecchio Testamento, magari usando una guida, come il Commentario biblico di san Girolamo. Purtroppo, noi spesso sottovalutiamo gli Antichi, e crediamo di essere più esperti di loro. Intanto, ancora non sappiamo per certezza come fossero state costruite le piramidi; o come gli antichi Greci abbiano potuto calcolare la distanza tra la Terra e la Luna, che ora ci risulta esatta; o come Giulio Cesare (o i suoi periti per lui) abbia potuto darci una precisa descrizione (triangolare) dell'Inghilterra subito dopo l'invasione romana dell'isola. Per concludere, vorrei desumere un'altra considerazione dalla lettura dei libri del papa: nell'interno del Nuovo Testamento si rivelano spesso nuovi riscontri dei due elementi signifiant-signifié, che rimangono nascosti fino a quando non lo richieda la necessità dei tempi, come nel caso dei dogmi e i sacramenti, che trovano la loro giustificazione proprio nel Vangelo. Ora credo di averti annoiato abbastanza! __________________________________________________ RISPOSTA DI MACCALLINI: "Per quanto riguarda i vangeli e la Bibbia in genere mi sono fatto un'idea alquanto diversa dalla tua, idea che traspare poco dai miei articoli ultimi che hai letto e che, invece, risulta chiara da quest'ultimo che ti invio in allegato. Il tuo discorso sul logos lo trovo abbastanza originale, anche se io non amo molto le teorizzazioni. Per quanto riguarda l'ebraico ho appreso, tramite internet, che esso è una lingua con poche parole (mi pare 5 o 6 mila) e che perciò ogni vocabolo può avere significati diversi. Infatti ho scoperto che il solito naziyr 'nazireo' si trova col significato di 'giovane' e addirittura con quello di 'chioma, capelli' (Geremia 7,29) oltre a quello di 'vigna non potata'. Direi che il mio metodo è confermato alla grande. Ti saluto" ___________________________________ Angus risponde: "Carissimo Pietro, non vorrei soffermarmi troppo a lungo sulla questione del participio aggettivale portante, ma è appunto la tua analisi che è portante in questo caso, non "un elemento" qualsiasi. Certo è che non hai bisogno di lezioni d'italiano da me. Volevo solo (:- scherzare. Per quanto riguarda il resto, Io so che tu, da buon deista, interpreti il Vangelo diversamente dall'esegesi che ne fa il papa, e non è il caso d'ingolfarci in una discussione di carattere religioso, ma devi tener presente che la glottologia e la semantica (il tuo forte) hanno a che fare con la parole, non con la langue dove ciascuna delle parole in successione acquista significati che vengono determinati dal contesto. Insomma, la tua analisi, geniale che sia, rimane al livello sincronico, per cui, senza un contesto, non può pervenire ad una esegesi vera e propria; questo è compito del teologo. Non ho ancora letto il tuo allegato, che mi è difficile decifrare perchè appare in caratteri troppo minuti. Attenderò che appaia nel tuo blog, e poi ti offrirò il mio giudizio. _______________________________________ Maccallini rispnde: Caro Angelo, senza voler per nulla polemizzare, forse avrei dovuto dire "è una struttura portante". Il participio "portante" , se usato da solo e senza alcun richiamo al linguaggio tecnico, è troppo legato al significato generico di 'recare' per cui si hanno espressioni come: ho visto passare una donna portante in capo una conca. A mio avviso lo dimostra anche il fatto che lì per lì non ho capito bene quello che volevi dire con quella espressione. Anche se con l'età il cervello comincia ad appannarmisi. Il teologo, però, non conoscendo il meccanismo diabolico del linguaggio, spesso va fuori strada o non trova una soluzione. Quando riceverò il libro te lo farò sapere. Ciao _____________________________________________ Angus: Caro Pietro, la tua insistenza sull'uso corretto dell'aggettivo portante è provvidenziale, perchè mi offre l'opportunità di chiarirti il mio pensiero sulla tua linguistica. Le parole, di per sè, non sono affatto diaboliche. Esse non sono altro che un'arma, che può essere usata per il bene o per il male, secondo le norme morali vigenti. Come la parola, il coltello si usa per uccidere il maiale come per commettere un omicidio. Non è il coltello che incide sul valore dell'atto, ma l'utente. Parallelamente, diabolico può essere il parlante che usa il cosiddetto" meccanismo" per far del male. Quando le parole si leggono, il diabolico si applica solo all'autore (omia munda mundis). Il dizionario non è un luogo infernale dove si nascondono tutti i demoni del mondo, ma un cimitero, dove un Maccallini "desume" un possibile intento (significato) di uno scrittore. I migliori dizionari latini sono quelli che indicano l'uso di una parola dei vari autori di riguardo. Se dico "questa donna è portante, l'ascoltatore o il lettore potrebbe intendere che è una "pregnante", come direbbe Manzoni, lo scrittore poeta. Per intendere altro, bisogna specificare "portante in capo una conca". Ma--qui sta il punto--"portante" acquista un significato solo in contesto. Il dizionario può aiutare a desumerne uno, ma è l'autore (Gualtieri, in questo caso) che lo precisa definitivamente. La semantica esamina la parola e la esplora al livello sintagmatico, ma per accertarne il significato, l'intento dell'autore, bisogna varcare i limiti del sintagmatico/sincronico e accedere al campo paradigmatico/diacronico; e questo si fa esplorando il contesto. Quindi la semantica/glottologia di per sè è un apparecchio che non vola. Questo è sempre stato il mio sincero giudizio della tua linguistica, benchè espresso in altri termini alcuni anni fa. Ciò non toglie nulla alla tua originalità, e direi anche alla genialità delle tue indagini quando il significato di una parola non è facilmente accertabile. Ne riparleremo dopo che avrò letto il tuo ultimo blog. Stammi bene. ---------------------------------- MACCALLINI: "Caro Angelo, effettivamente è proprio vero che capirsi è difficilissimo, se non addirittura impossibile: il linguaggio, in questo senso, è davvero uno strumento diabolico, altrimenti non si spiegherebbe nemmeno tutto l'interminabile lavoro dei critici intorno ad un autore, ad un poeta, ad una espressione. L'aggettivo "diabolico" da me spesso unito al termine "meccanismo" è usato per significare che si tratta di un meccanismo eccezionale, quasi al dilà delle possibilità dell'uomo, e quindi all'altezza di una mente sopraffina come quella del diavolo (non era stato egli, secondo la mitologia cristiana, il principe degli angeli?); tanto è vero che nessuno finora vi ha dato il rilievo che merita, se non forse vagamente in linea teorica. Con altrettanta efficacia avrei potuto usare al suo posto l'aggettivo "divino". Questo è il motivo per cui solitamente mi tengo lontano dalle teorizzazioni. Comunque il tuo pezzo eccelle per chiarezza e semplicità. Ma pone anch'esso dei problemi: l'uso del termine semantica confinata nel "sincronico" mi pare piuttosto particolare. Anche qui però è vero che il linguaggio usato dai linguisti moderni è un ginepraio da cui non si esce vivi. Ciao ____________________________________________________ ANGUS: "Esatto. Idem per l'aggettivo "divino". Il dizionario è pieno di segni, sintagmi, parole, non di angeli o demoni. È il lettore che ne desume i significati. La mia critica non è solo per la tua linguistica, ma anche per quella dei linguisti e accademici di oggi, che vorrebbero ridurla ad una materia scientifica, come la matematica e la fisica. Ma per essere una materia scientifica la linguistica dovrebbe comporsi di elementi "discreti", e ad esperimenti "iterabili", come in fisica. Ciò è impossibile fare per la lingua, per cui Chomsky, uno dei più quotati linguisti moderni, abbandonò molti anni fa il campo, dandosi all'analisi politica. Io credo che questo abbia voluto intendere Anonimo, commentando il tuo blog con la frase "temo che la sua visione non oltrepassi i limiti cronologici dell'inimitabile autore". Cioè, le delucidazioni del Maccallini sono uniche, e non facilmente imitabili. Se erro, Anonimo potrà correggermi. Stammi bene. ___________________________________________ Maccallini: 'Caro Angelo, effettivamente è proprio vero che capirsi è difficilissimo, se non addirittura impossibile: il linguaggio, in questo senso, è davvero uno strumento diabolico, altrimenti non si spiegherebbe nemmeno tutto l'interminabile lavoro dei critici intorno ad un autore, ad un poeta, ad una espressione. L'aggettivo "diabolico" da me spesso unito al termine "meccanismo" è usato per significare che si tratta di un meccanismo eccezionale, quasi al dilà delle possibilità dell'uomo, e quindi all'altezza di una mente sopraffina come quella del diavolo (non era stato egli, secondo la mitologia cristiana, il principe degli angeli?); tanto è vero che nessuno finora vi ha dato il rilievo che merita, se non forse vagamente in linea teorica. Con altrettanta efficacia avrei potuto usare al suo posto l'aggettivo "divino". Questo è il motivo per cui solitamente mi tengo lontano dalle teorizzazioni. Comunque il tuo pezzo eccelle per chiarezza e semplicità. Ma pone anch'esso dei problemi: l'uso del termine semantica confinata nel "sincronico" mi pare piuttosto particolare. Anche qui però è vero che il linguaggio usato dai linguisti moderni è un ginepraio da cui non si esce vivi. Ciao ------------------------ Angus: "Esatto. Idem per l'aggettivo "divino". Il dizionario è pieno di segni, sintagmi, parole, non di angeli o demoni. È il lettore che ne desume i significati. La mia critica non è solo per la tua linguistica, ma anche per quella dei linguisti e accademici di oggi, che vorrebbero ridurla ad una materia scientifica, come la matematica e la fisica. Ma per essere una materia scientifica la linguista dovrebbe comporsi di elementi "discreti", e ad esperimenti "iterabili", come in fisica. Ciò è impossibile fare per la lingua, per cui Chomsky, uno dei più quotati linguisti moderni, abbandonò molti anni fa il campo, dandosi all'analisi politica. Io credo che questo abbia voluto intendere Anonimo,commentando il tuo blog con la frase "temo che la sua visione non oltrepassi i limiti cronologici dell'inimitabile autore". Cioè, le delucidazioni del Maccallini sono uniche, e non facilmente imitabili. Se erro, Anonimo potrà correggermi. Stammi bene. ____________________________________________ Maccallini: "Caro Angelo, ora che ci sto riflettendo io posso sottoscrivere in pieno quello che dici sulla, diciamo così, incoercibilità del segno linguistico refrattario ad ogni ingabbiamento. Ma questo è un suo vizio d'origine, essendo esso partito con l'indicare l'idea genericissima di 'essere, esistenza, vita'. E' una pia illusione credere che la parola cavallo, ad esempio, sia stata creata per indicare quell'animale! Gli animali li poteva indicare tutti come la cavalletta (da non intendere come metafora di cavallo), compresi quelli che ora consideriamo inanimati, cioè le piante e persino le pietre! Non si spiegano altrimenti i molti monti Cavallo in Italia! I cavalloni del mare, più che metafore di cavallo, indicavano i rigonfiamenti delle onde. Il cavallo dei pantaloni indicano cavità,che è l'inverso del monte o rigonfiamento. Questi significati, insieme a probabili altri perduti nell'oscurità del tempo trascorso, rivelano la molta strada che quel termine originario percorre approdando a significati molto diversi tra loro, anche se un filo conduttore può essere individuato. La lingua è un gran ginepraio perchè su questo vizio d'origine s'innestano poi le varie figure retoriche a complicare ulteriormente le cose. Nonostante tutto e l'immense difficoltà di chiarificazione del segno, a me pare che la lingua sia comunque un prodotto razionale della mente dell'uomo. ________________________________ Angus: Caro Pietro, è vero, come tu dici, che "il segno linguistico è refrattario ad ogni ingabbiamento". Ma il suo vizio d'origine, se vizio c'è, esso risiede negli umani, non nei segni, parole, metafore che noi usiamo per comunicare. Anche gli animali hanno una loro lingua, ma il loro mezzo di comunicazione non varia attraverso i secoli. I cani abbaieranno sempre nella stessa maniera; la modulazione del canto degli uccelli è sufficiente per comunicare alla loro specie tutto il necessario per la sopravvivenza. È altrettanto vero che negli umani, gli elementi signifiant/signifiè, non essendo stabili, per motivi che tu conosci, causano una continua metamorfosi dei segni/metafore. Ed è appunto in questo campo, nella semantica, che eccelle il tuo metodo e il tuo genio. La tua esplorazione delle varie trasformazioni del segno linguistico illumina tutta la semantica. Ma non si tratta qui di un "vizio d'origine" bensì della capacità umana di esprimere i sentimenti più raffinati tramite segni e metafore che scaturiscono dalla mente creatrice dell'uomo. Se non fosse così non avremmo avuto uno Shakespeare o un Dante Alighieri, autori inimitabili, di cui alcuni segni non sono ancora comprensibili. La grandezza delle tue escogitazioni linguistiche è dovuta non al tuo metodo, ma alla tua erudizione ed alla tua raffinata percezione, doni insiti nella tua natura, e non facilmente imitabili. _________________________________________________ Maccallini: Caro Angelo, ancora una volta ci ritroviamo ad affannarci con le parole. E' vero infatti che se si assume la chiarezza come caratteristica pregiata della comunicazione, il fatto che i significati originari (e non solo) delle radici fossero così indefiniti e in fondo indefinibili come è la nozione di "essere", cui essi a mio avviso fanno capo, dovrebbe essere considerato come un vizio. Ma se si tiene conto di tutto quello che tu dici, il vizio si trasforma in virtù. E' altrettanto chiaro, come tu asserisci, che il significato non è un valore indipendente dalla mente che parla o pensa o scrive ma è tutto in essa. ________________________________________ Angus: Caro Pietro, a questo punto ho perduto le tue tracce, e non riesco a seguirti: vizio, virtu’, essere...; non comprendo casa tu voglia intendere con questi termini. Per riprendere il filo, ritengo opportuno tornare alla tua definizione o concetto della razionalita’ della lingua. Si’, la lingua e’ razionale nel senso che essa e’ analizzabile e scomponibile, cose che hanno gia’ fatto gli Antichi Greci con la loro (e la nostra) grammatica e retorica. Ma la razionalita” della lingua e’ sui generis, come e’ sui generis la logica, la metafisica o qualsiasi altra disciplina umana, nel senso che ognuna di esse richiede strumenti analitici diversi. Come tu ammetti, la lingua e’ un mezzo di comunicazione. Ogni nome, come segno puramente arbitrario, e’ metafora in relazione a un ente o oggetto esistente. Quindi ogni parola e’ una similitudine implicita, Ma vi sono altri metodi non verbali di comunicazione. Segni diacritici, come un punto esclamativo, o un calcio al sedere sono metodi diversi di comunicare un’idea o un sentimento. Se la lingua fosse sempre “razionale’, come si definirebbe il concetto dell’irrazionalita’? Che cosa significa la frase dantesca pepe’ satan pepe’ satan aleppe pronunciata da uno dei demoni dell’Inferno? La razionalita’ o meno della lingua e’ determinata dall’utente, non dalle parole stesse. Se tutto il concetto di lingua si restringesse al singolo segno, sarebbe impossibile comunicare. Tempo fa ti portai il paragone del signifiaco di “gamba” nei contesti “la mia gamba” e “una persona in gamba”, il primo analitico, l’altro sintetico, con significati ben diversi della parola “gamba”. Poi tu specifichi che a te non piacciono le teorizzazioni; ma cosa sono le tue Meditazioni linguistiche se non teorizzazioni?