Wednesday, March 20, 2013

Commenti al blog di Maccallini su L'infanzia di Gesù

"Caro Pietro, il tuo intervento sull’aspetto semantico dell’aggettivo “nazoreo” nel recente libro di papa Benedetto XVI, L’INFANZIA DI GESÙ, sparge molta luce sull’argomento, e convalida, ancora una volta, la validità del tuo metodo. Il significato profondo del termine, in base alla tua analisi, si amplierebbe ad includere anche l’aggettivo “capelluto” o “capellone”, come si direbbe oggi, applicabile ai “nazirei “ del mondo ebraico, cioė, coloro che si dedicavano a Dio e non si tagliavano i capelli, come certamente era il caso del Battista, di Gesù e dei loro seguaci. Il “nazareo” dell’INRI, poteva indicare non solo il luogo della prima residenza di Gesù, ma anche il significato limitrofo. Data la mancanza di un referente veterotestamentario a Nazaret, la località della prima residenza di Gesù, la tua analisi è portante, e non invalida affatto l’esegesi del papa. Un altro valido punto del tuo intervento analitico è la presenza del bue e dell’asinello, tradizionalmente presenti nella grotta di Betlemme, ma senza un chiaro indizio profetico veterotestamentario. L’esegesi biblica, fino ai nostri giorni non è concludente su questi punti, e certamente l’autore del libro non obietterebbe alla tua analisi, anzi, ne sarebbe illuminato. ____________________________________________________________________ RISPOSTA DI MACCALLINI: "Caro Angelo, non ho nulla da eccepire alle tue osservazioni concrete ed esaustive. Faccio notare solo che quando tu dici "la tua analisi è portante" forse avevi in mente l'ingl. bearing che significa anche 'produttivo, fruttifero'. Che il metodo sia quello giusto mi è stato confermato anche da un sito web in cui ho letto che ebraico naziyr 'nazireo' significa nella Bibbia anche 'vigna non potata' accostandosi così al significato di 'capigliatura, ecc.'. L'autore del sito però non sa dire altro che probabilmente questo significato deriva metaforicamente dal fatto che i nazirei erano capelluti. Grazie di tutto _______________________________________________________________________ ANGUS RISPONDE: "Leggendo L'infanzia ho capito molto più a fondo il vero significato del termine logos, che san Giovanni evangelista usa in riferimento a Gesù. Come sai, san Giovanni, ai piedi della croce, ebbe l'incarico da Gesù di prendere cura di Maria, Sua madre. Quindi egli è l'unico evangelista contemporaneo di Gesù; e il semplice fatto che i quattro evangelisti narrano più o meno gli stessi fatti sulla vita di Cristo, senza conoscersi l'uno con l'altro, dimostra la loro fedeltà agli eventi della narrazione. Inoltre ho compreso più a fondo cosa volesse intendere san Giovanni con la parola logos in riferimento a Gesù: Noi che conosciamo Saussure abbiamo un'idea molto più precisa di questo logos, che Saussure chiamava parole, cioè l'unione del segno (signifiant) con l'intento (signifié). Questo è al livello sintagmatico o sincronico. Ma al livello diacronico o paradigmatico, la parole diventa langue. Come tu ben sai, senza conoscere il paradigma di un verbo, non si riesce a coniugare i vari tempi in latino. Quindi, sincronicamente si può coniugare il presente, o il passato di un verbo, ma per saper coniugare tutti i tempi bisogna conoscere il paradigma. Quindi san Giovanni usa il termine logos anche al livello della langue, in quanto i segni presenti nelle profezie del Vecchio Testamento si sono verificati in Cristo nella narrazione del Nuovo Testamento. Insomma, in Gesù s'incrociano il sincronico con il diacronico, il sintagmatico con il paradigmatico, il temporaneo con l'eterno. Naturalmente, il papa, da buon teologo, non può entrare in questi dettagli della linguistica moderna, perché essa non rappresenta il suo campo di specializzazione. Un'altra considerazione: mentre nel linguaggio comune i due elementi della parole si separano con il passare del tempo, nel linguaggio biblico i due elementi della langue, al livello paradigmatico, si riuniscono in Cristo, nella coincidenza tra il temporaneo (Vecchio Testamento> Nuovo Testamento) con l'eterno (Gesù=Dio). Noi moderni non sappiamo fino a che punto san Giovanni, o gli antichi Greci conoscessero i meccanismi del linguaggio. Tutta la scienza o filosofia, a quel tempo, includeva il trivium (grammatica, retorica e logica) e il quadrivium (aritmetica, geometria, musica e astronomia). Ma non è detto che il sapere umano si limitava a queste materie: Aristotele fu scelto come consigliere da Alessandro; e quindi è legittimo desumere che egli conoscesse anche gli elementi della strategia militare, che non faceva parte del trivium o del quadrivium. Idem per la conoscenza dei meccanismi linguistici. San Giovanni era l'unico discepolo "istruito", e per studiare bene il Vangelo basta leggere la sua narrazione degli eventi della vita di Gesù, e seguire attentamente i riferimenti al Vecchio Testamento, magari usando una guida, come il Commentario biblico di san Girolamo. Purtroppo, noi spesso sottovalutiamo gli Antichi, e crediamo di essere più esperti di loro. Intanto, ancora non sappiamo per certezza come fossero state costruite le piramidi; o come gli antichi Greci abbiano potuto calcolare la distanza tra la Terra e la Luna, che ora ci risulta esatta; o come Giulio Cesare (o i suoi periti per lui) abbia potuto darci una precisa descrizione (triangolare) dell'Inghilterra subito dopo l'invasione romana dell'isola. Per concludere, vorrei desumere un'altra considerazione dalla lettura dei libri del papa: nell'interno del Nuovo Testamento si rivelano spesso nuovi riscontri dei due elementi signifiant-signifié, che rimangono nascosti fino a quando non lo richieda la necessità dei tempi, come nel caso dei dogmi e i sacramenti, che trovano la loro giustificazione proprio nel Vangelo. Ora credo di averti annoiato abbastanza! __________________________________________________ RISPOSTA DI MACCALLINI: "Per quanto riguarda i vangeli e la Bibbia in genere mi sono fatto un'idea alquanto diversa dalla tua, idea che traspare poco dai miei articoli ultimi che hai letto e che, invece, risulta chiara da quest'ultimo che ti invio in allegato. Il tuo discorso sul logos lo trovo abbastanza originale, anche se io non amo molto le teorizzazioni. Per quanto riguarda l'ebraico ho appreso, tramite internet, che esso è una lingua con poche parole (mi pare 5 o 6 mila) e che perciò ogni vocabolo può avere significati diversi. Infatti ho scoperto che il solito naziyr 'nazireo' si trova col significato di 'giovane' e addirittura con quello di 'chioma, capelli' (Geremia 7,29) oltre a quello di 'vigna non potata'. Direi che il mio metodo è confermato alla grande. Ti saluto" ___________________________________ Angus risponde: "Carissimo Pietro, non vorrei soffermarmi troppo a lungo sulla questione del participio aggettivale portante, ma è appunto la tua analisi che è portante in questo caso, non "un elemento" qualsiasi. Certo è che non hai bisogno di lezioni d'italiano da me. Volevo solo (:- scherzare. Per quanto riguarda il resto, Io so che tu, da buon deista, interpreti il Vangelo diversamente dall'esegesi che ne fa il papa, e non è il caso d'ingolfarci in una discussione di carattere religioso, ma devi tener presente che la glottologia e la semantica (il tuo forte) hanno a che fare con la parole, non con la langue dove ciascuna delle parole in successione acquista significati che vengono determinati dal contesto. Insomma, la tua analisi, geniale che sia, rimane al livello sincronico, per cui, senza un contesto, non può pervenire ad una esegesi vera e propria; questo è compito del teologo. Non ho ancora letto il tuo allegato, che mi è difficile decifrare perchè appare in caratteri troppo minuti. Attenderò che appaia nel tuo blog, e poi ti offrirò il mio giudizio. _______________________________________ Maccallini rispnde: Caro Angelo, senza voler per nulla polemizzare, forse avrei dovuto dire "è una struttura portante". Il participio "portante" , se usato da solo e senza alcun richiamo al linguaggio tecnico, è troppo legato al significato generico di 'recare' per cui si hanno espressioni come: ho visto passare una donna portante in capo una conca. A mio avviso lo dimostra anche il fatto che lì per lì non ho capito bene quello che volevi dire con quella espressione. Anche se con l'età il cervello comincia ad appannarmisi. Il teologo, però, non conoscendo il meccanismo diabolico del linguaggio, spesso va fuori strada o non trova una soluzione. Quando riceverò il libro te lo farò sapere. Ciao _____________________________________________ Angus: Caro Pietro, la tua insistenza sull'uso corretto dell'aggettivo portante è provvidenziale, perchè mi offre l'opportunità di chiarirti il mio pensiero sulla tua linguistica. Le parole, di per sè, non sono affatto diaboliche. Esse non sono altro che un'arma, che può essere usata per il bene o per il male, secondo le norme morali vigenti. Come la parola, il coltello si usa per uccidere il maiale come per commettere un omicidio. Non è il coltello che incide sul valore dell'atto, ma l'utente. Parallelamente, diabolico può essere il parlante che usa il cosiddetto" meccanismo" per far del male. Quando le parole si leggono, il diabolico si applica solo all'autore (omia munda mundis). Il dizionario non è un luogo infernale dove si nascondono tutti i demoni del mondo, ma un cimitero, dove un Maccallini "desume" un possibile intento (significato) di uno scrittore. I migliori dizionari latini sono quelli che indicano l'uso di una parola dei vari autori di riguardo. Se dico "questa donna è portante, l'ascoltatore o il lettore potrebbe intendere che è una "pregnante", come direbbe Manzoni, lo scrittore poeta. Per intendere altro, bisogna specificare "portante in capo una conca". Ma--qui sta il punto--"portante" acquista un significato solo in contesto. Il dizionario può aiutare a desumerne uno, ma è l'autore (Gualtieri, in questo caso) che lo precisa definitivamente. La semantica esamina la parola e la esplora al livello sintagmatico, ma per accertarne il significato, l'intento dell'autore, bisogna varcare i limiti del sintagmatico/sincronico e accedere al campo paradigmatico/diacronico; e questo si fa esplorando il contesto. Quindi la semantica/glottologia di per sè è un apparecchio che non vola. Questo è sempre stato il mio sincero giudizio della tua linguistica, benchè espresso in altri termini alcuni anni fa. Ciò non toglie nulla alla tua originalità, e direi anche alla genialità delle tue indagini quando il significato di una parola non è facilmente accertabile. Ne riparleremo dopo che avrò letto il tuo ultimo blog. Stammi bene. ---------------------------------- MACCALLINI: "Caro Angelo, effettivamente è proprio vero che capirsi è difficilissimo, se non addirittura impossibile: il linguaggio, in questo senso, è davvero uno strumento diabolico, altrimenti non si spiegherebbe nemmeno tutto l'interminabile lavoro dei critici intorno ad un autore, ad un poeta, ad una espressione. L'aggettivo "diabolico" da me spesso unito al termine "meccanismo" è usato per significare che si tratta di un meccanismo eccezionale, quasi al dilà delle possibilità dell'uomo, e quindi all'altezza di una mente sopraffina come quella del diavolo (non era stato egli, secondo la mitologia cristiana, il principe degli angeli?); tanto è vero che nessuno finora vi ha dato il rilievo che merita, se non forse vagamente in linea teorica. Con altrettanta efficacia avrei potuto usare al suo posto l'aggettivo "divino". Questo è il motivo per cui solitamente mi tengo lontano dalle teorizzazioni. Comunque il tuo pezzo eccelle per chiarezza e semplicità. Ma pone anch'esso dei problemi: l'uso del termine semantica confinata nel "sincronico" mi pare piuttosto particolare. Anche qui però è vero che il linguaggio usato dai linguisti moderni è un ginepraio da cui non si esce vivi. Ciao ____________________________________________________ ANGUS: "Esatto. Idem per l'aggettivo "divino". Il dizionario è pieno di segni, sintagmi, parole, non di angeli o demoni. È il lettore che ne desume i significati. La mia critica non è solo per la tua linguistica, ma anche per quella dei linguisti e accademici di oggi, che vorrebbero ridurla ad una materia scientifica, come la matematica e la fisica. Ma per essere una materia scientifica la linguistica dovrebbe comporsi di elementi "discreti", e ad esperimenti "iterabili", come in fisica. Ciò è impossibile fare per la lingua, per cui Chomsky, uno dei più quotati linguisti moderni, abbandonò molti anni fa il campo, dandosi all'analisi politica. Io credo che questo abbia voluto intendere Anonimo, commentando il tuo blog con la frase "temo che la sua visione non oltrepassi i limiti cronologici dell'inimitabile autore". Cioè, le delucidazioni del Maccallini sono uniche, e non facilmente imitabili. Se erro, Anonimo potrà correggermi. Stammi bene. ___________________________________________ Maccallini: 'Caro Angelo, effettivamente è proprio vero che capirsi è difficilissimo, se non addirittura impossibile: il linguaggio, in questo senso, è davvero uno strumento diabolico, altrimenti non si spiegherebbe nemmeno tutto l'interminabile lavoro dei critici intorno ad un autore, ad un poeta, ad una espressione. L'aggettivo "diabolico" da me spesso unito al termine "meccanismo" è usato per significare che si tratta di un meccanismo eccezionale, quasi al dilà delle possibilità dell'uomo, e quindi all'altezza di una mente sopraffina come quella del diavolo (non era stato egli, secondo la mitologia cristiana, il principe degli angeli?); tanto è vero che nessuno finora vi ha dato il rilievo che merita, se non forse vagamente in linea teorica. Con altrettanta efficacia avrei potuto usare al suo posto l'aggettivo "divino". Questo è il motivo per cui solitamente mi tengo lontano dalle teorizzazioni. Comunque il tuo pezzo eccelle per chiarezza e semplicità. Ma pone anch'esso dei problemi: l'uso del termine semantica confinata nel "sincronico" mi pare piuttosto particolare. Anche qui però è vero che il linguaggio usato dai linguisti moderni è un ginepraio da cui non si esce vivi. Ciao ------------------------ Angus: "Esatto. Idem per l'aggettivo "divino". Il dizionario è pieno di segni, sintagmi, parole, non di angeli o demoni. È il lettore che ne desume i significati. La mia critica non è solo per la tua linguistica, ma anche per quella dei linguisti e accademici di oggi, che vorrebbero ridurla ad una materia scientifica, come la matematica e la fisica. Ma per essere una materia scientifica la linguista dovrebbe comporsi di elementi "discreti", e ad esperimenti "iterabili", come in fisica. Ciò è impossibile fare per la lingua, per cui Chomsky, uno dei più quotati linguisti moderni, abbandonò molti anni fa il campo, dandosi all'analisi politica. Io credo che questo abbia voluto intendere Anonimo,commentando il tuo blog con la frase "temo che la sua visione non oltrepassi i limiti cronologici dell'inimitabile autore". Cioè, le delucidazioni del Maccallini sono uniche, e non facilmente imitabili. Se erro, Anonimo potrà correggermi. Stammi bene. ____________________________________________ Maccallini: "Caro Angelo, ora che ci sto riflettendo io posso sottoscrivere in pieno quello che dici sulla, diciamo così, incoercibilità del segno linguistico refrattario ad ogni ingabbiamento. Ma questo è un suo vizio d'origine, essendo esso partito con l'indicare l'idea genericissima di 'essere, esistenza, vita'. E' una pia illusione credere che la parola cavallo, ad esempio, sia stata creata per indicare quell'animale! Gli animali li poteva indicare tutti come la cavalletta (da non intendere come metafora di cavallo), compresi quelli che ora consideriamo inanimati, cioè le piante e persino le pietre! Non si spiegano altrimenti i molti monti Cavallo in Italia! I cavalloni del mare, più che metafore di cavallo, indicavano i rigonfiamenti delle onde. Il cavallo dei pantaloni indicano cavità,che è l'inverso del monte o rigonfiamento. Questi significati, insieme a probabili altri perduti nell'oscurità del tempo trascorso, rivelano la molta strada che quel termine originario percorre approdando a significati molto diversi tra loro, anche se un filo conduttore può essere individuato. La lingua è un gran ginepraio perchè su questo vizio d'origine s'innestano poi le varie figure retoriche a complicare ulteriormente le cose. Nonostante tutto e l'immense difficoltà di chiarificazione del segno, a me pare che la lingua sia comunque un prodotto razionale della mente dell'uomo. ________________________________ Angus: Caro Pietro, è vero, come tu dici, che "il segno linguistico è refrattario ad ogni ingabbiamento". Ma il suo vizio d'origine, se vizio c'è, esso risiede negli umani, non nei segni, parole, metafore che noi usiamo per comunicare. Anche gli animali hanno una loro lingua, ma il loro mezzo di comunicazione non varia attraverso i secoli. I cani abbaieranno sempre nella stessa maniera; la modulazione del canto degli uccelli è sufficiente per comunicare alla loro specie tutto il necessario per la sopravvivenza. È altrettanto vero che negli umani, gli elementi signifiant/signifiè, non essendo stabili, per motivi che tu conosci, causano una continua metamorfosi dei segni/metafore. Ed è appunto in questo campo, nella semantica, che eccelle il tuo metodo e il tuo genio. La tua esplorazione delle varie trasformazioni del segno linguistico illumina tutta la semantica. Ma non si tratta qui di un "vizio d'origine" bensì della capacità umana di esprimere i sentimenti più raffinati tramite segni e metafore che scaturiscono dalla mente creatrice dell'uomo. Se non fosse così non avremmo avuto uno Shakespeare o un Dante Alighieri, autori inimitabili, di cui alcuni segni non sono ancora comprensibili. La grandezza delle tue escogitazioni linguistiche è dovuta non al tuo metodo, ma alla tua erudizione ed alla tua raffinata percezione, doni insiti nella tua natura, e non facilmente imitabili. _________________________________________________ Maccallini: Caro Angelo, ancora una volta ci ritroviamo ad affannarci con le parole. E' vero infatti che se si assume la chiarezza come caratteristica pregiata della comunicazione, il fatto che i significati originari (e non solo) delle radici fossero così indefiniti e in fondo indefinibili come è la nozione di "essere", cui essi a mio avviso fanno capo, dovrebbe essere considerato come un vizio. Ma se si tiene conto di tutto quello che tu dici, il vizio si trasforma in virtù. E' altrettanto chiaro, come tu asserisci, che il significato non è un valore indipendente dalla mente che parla o pensa o scrive ma è tutto in essa. ________________________________________ Angus: Caro Pietro, a questo punto ho perduto le tue tracce, e non riesco a seguirti: vizio, virtu’, essere...; non comprendo casa tu voglia intendere con questi termini. Per riprendere il filo, ritengo opportuno tornare alla tua definizione o concetto della razionalita’ della lingua. Si’, la lingua e’ razionale nel senso che essa e’ analizzabile e scomponibile, cose che hanno gia’ fatto gli Antichi Greci con la loro (e la nostra) grammatica e retorica. Ma la razionalita” della lingua e’ sui generis, come e’ sui generis la logica, la metafisica o qualsiasi altra disciplina umana, nel senso che ognuna di esse richiede strumenti analitici diversi. Come tu ammetti, la lingua e’ un mezzo di comunicazione. Ogni nome, come segno puramente arbitrario, e’ metafora in relazione a un ente o oggetto esistente. Quindi ogni parola e’ una similitudine implicita, Ma vi sono altri metodi non verbali di comunicazione. Segni diacritici, come un punto esclamativo, o un calcio al sedere sono metodi diversi di comunicare un’idea o un sentimento. Se la lingua fosse sempre “razionale’, come si definirebbe il concetto dell’irrazionalita’? Che cosa significa la frase dantesca pepe’ satan pepe’ satan aleppe pronunciata da uno dei demoni dell’Inferno? La razionalita’ o meno della lingua e’ determinata dall’utente, non dalle parole stesse. Se tutto il concetto di lingua si restringesse al singolo segno, sarebbe impossibile comunicare. Tempo fa ti portai il paragone del signifiaco di “gamba” nei contesti “la mia gamba” e “una persona in gamba”, il primo analitico, l’altro sintetico, con significati ben diversi della parola “gamba”. Poi tu specifichi che a te non piacciono le teorizzazioni; ma cosa sono le tue Meditazioni linguistiche se non teorizzazioni?